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MARIO FRANCESE, A 37 ANNI DALLA MORTE RICORDATO ALLA "CASA DELLA CULTURA"

data articolo 26/01/2017 autore Luigi Gullo Indietro
Mario Francese, a 37 anni dalla morte ricordato alla 'Casa della Cultura'
Mario Francese, a 37 anni dalla morte ricordato alla 'Casa della Cultura'
Monreale, 26 gennaio 2017 – Mario Francese è morto due volte. La prima per mano mafiosa, il 26 gennaio 1979, la seconda per mano dell’indifferenza. Quella della città, delle istituzioni ma, soprattutto, dei suoi colleghi, che non avevano riconosciuto in lui il grande giornalista d’inchiesta. Riconoscimento che solo dopo tanti anni, ed al costo di un altro sacrificio, quello del figlio Giuseppe, gli verrà dato.

La lapide in suo ricordo verrà posta in Viale Campania solamente nel 2006, dall’unione nazionale giornalisti italiani – gruppo Sicilia.

Le motivazioni della condanna nella sentenza d’appello furono: «Il movente dell’omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ’70”.

Ed è stata dedicata al giornalismo d’inchiesta la giornata organizzata dall’assessore alla Pubblica Istruzione del comune di Monreale, l’arch. Nadia Olga Granà, presso la “Casa della Cultura”, a Monreale, nella commemorazione del 37esimo anno dall’omicidio di Mario Francese. Una commemorazione, è giusto sottolinearlo, tra le poche, organizzate in Sicilia, terra di uomini e donne con la memoria troppo corta, che alle solite corone d’alloro poggiate su una lapide, ad i soliti sermoni rituali, ha preferito fare rivivere nei più giovani sia il giornalista che il suo messaggio.

Francese era stato un giornalista dotato di grande intuito, aveva chiare le linee evolutive di Cosa Nostra, gli affari degli appalti sulla diga Garcia dietro alle guerre di mafia, l’attacco di Cosa Nostra alle istituzioni, la strategia eversiva che culminerà con l’eliminazione di un giornalista non compiacente con i gruppi di potere collusi con la mafia e che aveva sposato un ideale: la verità.

Oggi Francese è divenuto un simbolo, un modello di giornalismo d’inchiesta importante, di cui si sente la necessità in questo paese.

Dinanzi alla platea di giovani studenti della scuola media Guglielmo II di Monreale, il Giudice della Corte d’Appello Mario Conte ha raccontato la storia di Giuseppe, il figlio di Mario, che combatté l’indifferenza che avvolse la morte del padre, raccogliendo una serie di elementi che permisero la riapertura delle indagini e l’istruzione di un nuovo processo.

All’indomani della sentenza del 2001 con la condanna a 30 anni dei capi della Cupola, Giuseppe Francese si uccise. Aveva terminato il suo compito e reso giustizia all’onore del padre.

Conte si è soffermato sulla professione del giornalista, “una professione fondamentale, se svolta per fare conoscere la verità, indispensabile nella società di oggi. In un mio libro parlo dell’informazione che è essenziale nei confronti dei giovani. Non dovete cadere nel grande errore del silenzio colpevole, come quello dei colleghi di Francese che per paura non hanno voluto attribuire a Mario il giusto riconoscimento per aver detto la verità. Una colpa che non riguarda solo i giornalisti, ma un po’ tutti.

La società si è risvegliata solo con le stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Bisogna coltivare la memoria. Il silenzio ci rende conniventi. Non possiamo essere spettatori”. Quindi un invito ai giovani: “Il desiderio di conoscere deve essere alla base della vostra vita. Non dovete essere comparse ma protagonisti della vostra vita e dovete agire sempre con la vostra testa, come diceva Mario Francese”.

Presente all’evento la fotografa Lavinia Caminiti, autrice della mostra sugli “Invisibili, gli ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza”: “I ragazzi di oggi sono migliori di noi, più sensibili, consapevoli, dotati di voglia di sapere e di essere attivi. Basta dare loro gli stimoli giusti. Fare conoscere la nostra storia. Con la morte di mario Francese, oltre ad essere ucciso un uomo e un giornalista è stata uccisa la voglia di fare sapere, di informare, è stata uccisa quindi la nostra libertà. Tramite la penna di Mario Francese noi sapevamo, questo dava fastidio. Lo strumento dello studio vi fornisce la capacità di scegliere, così non potrete essere comandati.

Ma, oltre a ricordare i vari Francese, De Mauro, Fava, Spampinato, Impastato, morti per mano mafiosa, bisogna ricordare anche chi è vivo, e non lasciarlo nell’indifferenza”.

Tra gli ospiti invitati dall’assessore Granà anche Salvo Vitale, cronista di TeleJato, fraterno amico di Peppino Impastato con il quale fondò una radio, e che lavorò come corrispondente del giornale L’Ora dal ’64. Anche Vitale ha ricordato l’importanza di chi in Sicilia ha cercato di fare informazione, sfidando i potenti ed i mafiosi. A partire da Danilo Dolci, che scelse da Trieste di andare a vivere a Partinico per difendere e fare conoscere al mondo, anche tramite una radio, come la gente stava morendo in Sicilia.

Assente il figlio di Mario, Giulio, che ha inviato una sua testimonianza in un video: “Rimane una domanda, perché i colleghi hanno permesso il silenzio su Mario Francese? Un silenzio ingiustificato e mortificante. Dopo vent’anni un processo porta giustizia, il merito è dei giudici che hanno decretato l’importanza del lavoro di Francese, che aveva fatto il quadro di Riina, Provenzano, della mafia corleonese. Nessuno aveva capito Mario Francese, probabilmente era troppo avanti”.

Fonte: FilodirettoMonreale.it

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